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  • Immagine del redattoreGennaro Madera

Caro 2020, addio.

Caro 2020,

ci stai abbandonando («finalmente!» – direbbe qualcuno) e io non avrei mai davvero immaginato di dover dare valore felice al 2019. Alla resa dei conti l'avevo congedato con rammarico e goduria, per un anno che non mi aveva dato tanto, anzi, un anno di passaggio, quasi aleatorio, che serviva solo (nel mio vecchio e tragicomico immaginario) ad accogliere – mirabolante e ardente – l'anno che poi ci avrebbe privato di tutto.

Eppure, nel 2019, potevamo ancora camminare per strada e sederci nei locali senza dispositivi sanitari obbligatori addosso. Potevamo scorgere il sorriso o il ghigno di chi condivideva con noi il tempo. Potevamo, persino, abbracciarci (che antico e incauto gesto! – diremmo oggi), suggellando e riscaldando un momento che non aveva bisogno di nient'altro se non di quello. Potevamo andare a scuola e io, potevo essere ospitato dalle scuole – pensate, nelle aule magne! Quelle grandissime dove si stava con più classi, tutti ammucchiati e annoiati, alcuni stremati altri felici.

Nel 2019 potevamo viaggiare nei treni e, insonni e inaspettati, anche poggiare le guance su spalle a volte estranee, e da lì, creare qualcosa di umano e vagante. Potevamo sognare di conoscere nuove nazioni, dormire in ostelli con bagni condivisi, rimorchiare sconosciute sui divanetti imbevuti di alcool cadenti nelle discoteche. Potevamo respirare vicini vicini e correre nei prati verdi dietro a un pallone. Arrabbiarci allo stadio per quella partita che avevamo tanto pagato e aspettato e poi ci aveva tradito. C'erano i cinema una volta a settimana, da soli. E c'erano i cinema dove ci si andava soli e si tornava a casa in due: i gusti cinematografici e teatrali in comune fanno miracoli; tipo farmi condividere i pop corn al caramello e fare chilometri a piedi per giungere a case interperiferiche fingendo di essere «più o meno qualche isolato di là, non ci metto niente a tornare, tranquilla». Nel 2019 non avevamo il timore di incrociare persone per strada. La gente moriva ancora per ipotermia ma meno sola. In Calabria, a Cariati, non c'era ancora l'ospedale e pesava tanto ma un pelo meno di ora.


Caro 2020, volevo ricordarti per un attimo, distratto e ininfluente, tutto quello che ci hai tolto. Ma a qualcosa sei servito: a farci capire che, quando stiamo male, c'è sempre qualcosa di essenziale che possa farci sorridere. Ora io penso a quello che ero. Dal 2021 non voglio niente di ciò che già non conosco, non pretendo promesse.

Aspetto. Aspetto e mi tengo stretto quello che ho.

Ho imparato a farlo quest'anno.

Caro 2020, addio.

Non sei stato un anno da dimenticare, bensì un anno da ricordare. Da ricordare per capire che la distanza è una caria, disumana, ma a volte estremamente necessaria. E che quando non ci resta quasi niente, disperati, rammentiamo a noi stessi di avere qualcosa di splendido e impercettibile: ricordiamoci di avere l'aria. E di che miseria sia non poterla condividere.


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