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Perchè scrivo qui e non sui social?

Ho pensato questo spazio come libero e safe, per evitare di trattare argomenti che infiammano le piattaforme social, generando un odio cieco e deleterio. In questo spazio mi sento libero di poter esprimermi, senza la paura di incappare in utenti odiatori che non sono aperti al dibattito democratico, ma che, con acredine incontrollata, dividono il mondo in due parti e insultano quella avversaria. Se sei arrivata qui è perché sei davvero interessata a leggermi. Per questo tengo a un tuo parere e ti invito a scrivermi o qui nei commenti o su Instagram. La sfida che mi pongo è ardua e anacronistica, perchè non siamo più abituati a staccarci dai social e prenderci del tempo più approfondito, ma spero che qualcuno mi segua in questa folla scelta. Grazie e buona lettura.

PS: Chiaramente alcuni articoli saranno disponibili anche sui social, ma non tutti.

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PESCAMI, SONO QUA! - Come pubblicare un libro in Italia

  • Immagine del redattore: Gennaro Madera
    Gennaro Madera
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 6 min
ESSERE QUALCUNO

Ma si può pubblicare ancora un libro in Italia?

O meglio, riformulo in maniera più attinente al vero la domanda: si può pubblicare ancora un libro in Italia (che abbia un suo circuito di rilevanza e non finisca nel dimenticatoio dopo due settimane) senza essere nessuno, avere centinaia di migliaia di followers sui social, pagare profumatamente una scuola di scrittura o finire virali per qualsiasi ragione con il proprio contenuto?

Si può arrivare a pubblicare un libro solo scrivendo, senza essere un contenuto per qualcuno?


UN POSTO A TAVOLA

Parliamone, perché la questione è complessa e nient’affatto immediata. E proviamo a farlo anche accogliendo l’amarezza che mi abita, che è quella di uno scrittore che sta provando a fare questo nella vita, che ha finito di scrivere un romanzo e cerca disperatamente una casa che lo accolga, con banchetto ricco di cibo fatto con amore e un posto apparecchiato che lo aspetta.


PUBBLICARE E POI SPARIRE

La riflessione che state leggendo non è per nulla diplomatica e neutrale e mira più a farsi delle domande che a dare delle risposte. Domande che, spero, possano aprire una via a qualcuno.

Tornando a noi, con tutto il rispetto possibile per il lavoro editoriale: le piccole case editrici sono irrilevanti.


PICCOLI E GRANDI PROBLEMI

Non hanno peso e spazio sul mercato perché sconfitte dai ricchi colossi (Gruppo Mondadori- Rizzoli e Mauri Spagnol su tutti), che in un mondo capitalista comprano tutti gli spazi di prim’ordine e anche quelli non legalmente in vendita (invito alla lettura della lettera scritta da Elena Ferrante in risposta alla sua candidatura al Premio Strega). Con una piccola casa editrice, che non abbia un piano editoriale ad hoc per te, rischi di investire una vita (anni e anni in solitaria) dedita scrittura di un libro e poi di vedere quest’ultimo sparire un mese dopo la pubblicazione.


L'AUTOLESIONISMO

Il rischio è quello di cadere a piedi uniti (anzi, in tuffo – di testa – magari volontario) e spaccarti il cranio in un buco nero che improvvisamente è solido e ti annienta. Certo, questo può accadere anche con una grande casa editrice: sono innumerevoli i casi, ma se si vuole tentare di vivere di scrittura si deve – come condizione necessaria – entrare nei canali di distribuzione: altrimenti è autolesionismo, pompandosi le aspettative e rimanendoci male dopo.


GLI AGENTI LETTERARI ESISTONO?

Le agenzie letterarie sembra che siano gusci vuoti. Non so voi – ma anche voi del campo – che frequentate il mondo artistico-culturale-editoriale: avete mai conosciuto un agente letterario? Tale figura professionale sembra che in Italia sia leggendaria, al pari di Bigfoot. Onestamente, non ne ho mai conosciuto uno, eppure sono nel mondo del dell'editoria da tempo: conosco al massimo degli scout, dei suggeritori.


PESCAMI!

La cosa più vicina a un agente letterario che abbia mai conosciuto è l’umanizzazione personificata delle claw machine: se il termine vi è nuovo, ve lo spiego. Sono quei giochi con artiglio telecomandato che, in seguito all’inserimento del gettone, vi danno la possibilità di acchiappare un peluche. Ecco, uomini e donne che pescano dai social potenziali scrittori e scrittrici (con ricco seguito annesso) nella speranza di portare a compimento una carriera letteraria.


IL MANOSCRITTO

Questo accade nel momento in cui il peluche acchiappato riesce a essere rigettato nel tunnel, trovando la via di casa. Esultanza spasmodica annessa. Ecco, si fanno dei tentativi di carriere a partire da macchine illuminatissime e già messe in esposizione per strada. Allora mi chiedo: si valutano ancora manoscritti nella loro essenza ontologica prima, ovvero: essere solo dei manoscritti? Esiste ancora questa possibilità? Sembra che in Italia per arrivare a pubblicare un libro, e magari vedere la tua carriera conclusa immediatamente dopo l'uscita di quest’ultimo, tu debba passare per forza da una bottega (rigorosamente a pagamento) di teoria letteraria. Che, per carità, il lavoro culturale deve necessariamente essere pagato, ma davvero vogliamo che esistano solo queste vie? Che spesso portano il livello della competizione e omologazione della classe a livelli tali da far impazzire chi ci sta all’interno.


UN BRAVO SCRITTORE

A meno che tu non riesca a: essere furbo; scendere a compromessi; lecchinare il tuo superiore; renderti disponibile con le persone giuste; chiudere un occhio sulle ingiustizie perché altrimenti sei un problema, eccetera? Non mi risulta che tutte queste caratteristiche siano il cuore di un bravo scrittore, da che ne ho memoria.


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MA QUANDO PUBBLICHI?

In tutto ciò, non è finita qui. Perché per i superstiti che riescono a pubblicare c’è un altro grande iceberg da superare: l'anno di pubblicazione. Ebbene sì, miei cari lettori e lettrici. Uno si fa il culo, scrive, legge e studia per anni e arriva pure a firmare un contratto ma… il libro esce tra gli uno e i due anni dopo la firma del foglio di carta. E uno che nella vita vuole fare questo di mestiere si chiede, in maniera del tutto naturale direi: vale la pena aspettare così tanto, con tutte le premesse che ci siamo detti fino a qui?


L'ATTESA

Uno si fa un culo così (immaginate le mie braccia e le mie mani allargarsi fino a sentirmi stirare i muscoli) per scrivere un libro, rivederlo, rivederlo, rivederlo, girarlo ad alpha-beta-gamma reader, giri di amici, direttori di riviste che magari seguono la tua nicchia, arrivi ad avere il contratto con questa casa editrice, lo dici a tutti e tutte e il libro viene pubblicato dopo un anno e otto mesi. Incredibile, sono sconcertato e rammaricato al solo pensiero di tutto ciò. Che devo fare nel frattempo? Lasciare il mio lavoro, formarmi, scrivere ancora? Cosa cazzo devo fare in due anni di attesa, conscio del fatto che il mio libro possa risultare introvabile e fuori dal commercio dopo due – DUE – settimane dalla sua uscita?


VENDESI SOGNI: venghino signori, venghino!

A meno che, come in tanti settori della vita, tu non sia ricco, non abbia una famiglia alle spalle e la faccia tosta di sbatterti porta a porta per farti conoscere. Io credo tanto in me stesso e so che ce la farò, ma sono un privilegiato assoluto, perché non sono il solo a credere e finanziare il mio sogno. Il problema sta proprio qui, che ancora oggi, nel mondo della scrittura, si vende un sogno, non la possibilità di formare dei professionisti che un domani ne faranno un mestiere.


Mi vendono un sogno impossibile, un sogno capitalista, un sogno malato e marcio fin dal suo pensiero inconscio, eppure io continuo a crederci. Eppure, tu continui a crederci. E sai che cosa vuol dire questo? Che non devi smettere di scrivere, mai.


L'ITALIA NON LEGGE

C’è da dire che non leggiamo, però. Devo essere onesto, anche all’interno degli stessi circuiti culturali mi rendo conto che il fatto che si legga non è cosa scontata. Spesso si ascolta, ma non si incrementa con la lettura.

L’Italia è medaglia di bronzo (wow!) nella classifica che chiede quante persone sopra i 16 anni abbiano letto almeno un libro all’anno. La percentuale è pari al 35%, dietro solo Cipro e Romania, in Europa. Questo vuol dire che quasi 39 milioni di italiani su 59 non leggono. Il 33,7% dei comuni italiani non ha una biblioteca; se guardo amaramente alla mia regione di origine, la Calabria, il dato mi porta a un pianto convulso: il 90% dei comuni non ha una biblioteca. Nel 2024, tra i circa 85 mila nuovi libri pubblicati, solo 3254 hanno superato le 2 mila copie vendute (Fonte: Istituto GFK).


LA CULTURA AI NON CULTORI

Non voglio rubarvi ulteriore tempo qui, ma ci sarebbe molto da dire a riguardo e partirebbe dai comuni, passando dalle regioni e arrivando al governo. L’investimento statale sia a livello economico che a livello comunicativo può davvero fare la differenza. Ma sembra che – dall’alto – quando si debba parlare di cultura lo si faccia sempre in maniera infiocchettata, plastica e distante. Tutto ciò che la cultura non dovrebbe essere. Forse perché a parlarne e avere potere non sono uomini e donne di cultura. Oppure, ricevendo determinate cariche l’hanno messa da parte. Perché si sa, la cultura ti impone una analisi critica, un dialogo, una rottura, un’accusa; e tutto ciò non crea consenso.


SONO UN IPOCRITA

Ho chiesto spiegazioni a me stesso sul perché io abbia trasformato quello che doveva essere un articolo in uno sfogo. La verità che è venuta fuori mi è stata un po’ indigesta: dopo l’iniziale volontà di radunare gente simile a me per provare a cambiare le cose, mi sono detto che l’ho scritto per essere notato ed essere l'eccezione costante che dà linfa al sistema. Probabilmente lo faccio più per questo che per altro: per essere notato al di là del mio romanzo, per essere uno dei tanti peluche acchiappati dalla claw machine. E allora non leggetemi, perché sono un ipocrita, uno che si fa delle domande, condanna e poi asseconda. Perché sognare è bello, meno bello è sentirsi dormienti e indifesi.


Quest'articolo è apparso nella rivista indipendente Bar Croazia, nel numero uscito il 24 novembre.

 
 
 

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